Un diritto che valorizza la formazione nella Pubblica Amministrazione
C’è uno strumento poco noto ma prezioso che consente ai dipendenti pubblici italiani di conciliare carriera e alta formazione: il congedo straordinario retribuito per dottorato di ricerca. Grazie a questa possibilità, introdotta dalla legge n. 476 del 13 agosto 1984 (e rafforzata dalla legge n. 448 del 2001), i lavoratori del settore pubblico possono dedicarsi a studi avanzati per un periodo anche triennale, senza rinunciare alla retribuzione e ai contributi previdenziali.
Un’occasione rara (e difficilmente replicabile nel settore privato)
I dati ufficiali non sono disponibili a livello centrale, perché le autorizzazioni passano per le singole amministrazioni. Tuttavia, si tratta di un’occasione difficilmente immaginabile per i lavoratori del settore privato: tre anni di aspettativa retribuita per seguire un corso di dottorato, anche all’estero o in modalità telematica.
Nessun obbligo di tesi o presenza: flessibilità per formarsi
Un ulteriore punto di forza? Non è richiesto né di seguire le lezioni in presenza né di discutere necessariamente la tesi. Questo rende la misura particolarmente adatta a chi desidera approfondire un percorso formativo senza vincoli rigidi. In alcuni casi, completare il dottorato può addirittura rappresentare un vantaggio nei concorsi interni per le posizioni dirigenziali.
Il nodo della compatibilità: il dipendente ha (quasi sempre) ragione
La legge prevede che la concessione del congedo sia subordinata alla “compatibilità con le esigenze dell’amministrazione”, ma nella pratica è lo Stato a dover dimostrare eventuali criticità. Diversi pronunciamenti dei tribunali amministrativi (Caltagirone, Verona, Ancona) hanno dato ragione ai lavoratori, annullando i dinieghi delle amministrazioni.
Borsa di studio? Meglio mantenere lo stipendio
Chi sceglie di usufruire del congedo può rinunciare all’eventuale borsa di studio prevista dal corso di dottorato, conservando così l’intero stipendio pubblico. Una scelta logica, considerando che le borse italiane sono spesso inferiori alle retribuzioni medie dei dipendenti pubblici.
Nessun rimborso se il dottorato non viene completato
Un elemento che fa discutere è la mancanza di obbligo di restituzione delle somme percepite, anche nel caso in cui il dottorato non venga portato a termine. L’unica eccezione riguarda i dipendenti che lasciano il posto di lavoro entro due anni dal conseguimento del titolo. Secondo l’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica, il costo per lo Stato può arrivare a 50.000 euro l’anno per ciascun dipendente in congedo, tra retribuzione e sostituzioni.
Una misura da tutelare, non da ridimensionare
Al di là delle possibili storture, il congedo retribuito per dottorato rappresenta un raro esempio di politica pubblica capace di premiare il merito e investire nella formazione avanzata. Piuttosto che metterlo in discussione, potrebbe essere utile migliorarne la trasparenza, monitorarne l’attuazione e promuoverlo come buona pratica per la crescita culturale e professionale della macchina pubblica.